Poesia 15/01/1992

Appena messo il piede nel gradino,
dall’uscio della porta,
il sangue caldo delle vene,
si è appisolato freddamente.
L’interno del tuo nido,
freddo al mio occhio vivo di vita,
grigio come la parete, penombra di fine diventa voluta.

Sistema assurdo,
di aggrapparsi a momenti andati.
Giglio ammantato da nero afoso,
perla dei mari profondi,
aggrovigliato dal mare oscuro,
straliciato dal promontorio del seno molle,
di fatica di latte.

Figura contesa da pensieri profondi
D’amore e di morte insieme.
Essere finita ancora prima di andare.
Non accettare il sole, il suo calore,
le sue protuberanze, non accettare la vita,
contesa da serena armonia, è viltà,
appigliati al futuro dei tuoi figli.

Se no, che donna sei; se non vile!
Le molecole del tuo corpo,
piene di sensazioni, non possano dormire,
solo perché il tuo intelletto lo vuole.
Che donna sei, se non vile!

Fanne a meno di amarmi, a meno di volermi, non illuderti,
saprò isolarmi.
Ma ciò che non accetto è il vederti morire senza vivere,
il vivere senza amare;
amare e non fermarsi,
non fermarsi fino alla fine dell’essere,
essere, voluto dalla terra partoriente
solo perché il destino ti è avverso
svegliati amore turbinoso
ogni raggio di sole è in te
prendilo è per te.